“A proposito di niente. Autobiografia” di Woody Allen, scritta da sé medesimo

di Paolo Rausa
Woody Allen ha quasi raggiunto la veneranda età di 85 anni, ma ha ancora molto da dire, girare e suonare.  Non scrive questa autobiografia, tirando i remi in barca. No, lo dice nelle conclusioni della lunga carrellata  di storie, episodi, films girati (una cinquantina, uno ogni anno da quando ha intrapreso a servirsi del mezzo espressivo fin da “Prendi i soldi e scappa”, del 1969). Esprime difatti il rammarico di non aver ancora scritto e diretto un grande film, il suo capolavoro, e pensa subito al modello inimitabile nella versione cinematografica di “Un tram che si chiama desiderio”, del 1951, diretto da Elia Kazan e interpretato divinamente da Vivien Leight, una prova definita “senza paragone”, e da Marlon Brando “una poesia vivente, un attore che ha cambiato la storia della recitazione”. In realtà di films belli, significativi, pluripremiati, Woody Allen ne ha scritti e diretti molti e ha incontrato una miriade di attori professionisti e attrici straordinarie per bellezza e capacità recitative, un numero impressionante, che passa in rassegna film dopo film, di cui annota i particolari e il giudizio postumo. Quindi il titolo scelto per rappresentare questa sua lunga e intensa avventura, meravigliosa si può dire, non si spiega se non con la sua ritrosia naturale a farsi avanti, di un personaggio così vivace fin da bambino e con la battuta pronta che spinge naturalmente all’ilarità. Una predisposizione a stemperare la dura esistenza, per combattere con arguzia la gravità del  vivere. Pieno di tic e di complicazioni, Woody ha trovato terreno fertile nella sua naturale inclinazione verso lo humor semplice e immediato. A chi gli rimproverava che a scuola invece di applicarsi  stesse sempre appiccicato alle ragazze, rispondeva: “Sì, mi piacevano le ragazze. Cosa mi dovevano piacere le tabelline?”  Di famiglia ebrea, ancorato sentimentalmente alla sua Manhattan, è vissuto in quel tipico ambiente culturale e religioso, ma se ne è distaccato ben presto, riconoscendo la precarietà e la velleità nonché l’imbroglio delle certezze religiose. Uno spirito libero, Woody, che sceglie il clarinetto per addomesticare la sua voglia di vita e organizza numerosi concerti con la sua band in tutto il mondo cogliendo notevoli successi. Ma sono le sue battute il punto forte, quando prende di mira l’assurdità dei comportamenti che vogliono prendersi troppo sul serio e perciò ne mina la inconsistenza, coniando espressioni spontanee che fanno subito ridere. Perciò ha successo nelle serate di cabaret a cui partecipa. Le battute diventano stati d’animo e storie, commedie dove i protagonisti si arrabattano a rincorrere il successo o l’amore, restando per lo più delusi salvo poi una ricomposizione benevola del quadro finale, reso divertente per accontentare tutti, senza tuttavia dimenticare l’amaro della vita. Le muse sono le donne della sua vita. Lo accompagnano nel corso della produzione cinematografica nelle tappe più significative della sua bulimica attività artistica. Woody è sempre impacciato con le donne, non sa mai se assumere un atteggiamento leggero e coinvolgente o fare discorsi astrusi, filosofici sui grandi temi della vita, per poi finire col proporre la visione de “Il settimo sigillo” di Ingmar Bergman: ecco la sua idea di romanticismo! Il sodalizio con Diane Keaton e Mia Farrow ebbe un grande successo. Con “Io e Anne” vincono quattro Oscar nel 1978, compreso quello per il miglior film. Il rapporto professionale e sentimentale con Mia Farrow dura tredici anni, ma poi si conclude in maniera terribile e assurda con le accuse di molestie nei confronti delle figlie lanciate contro Woody Allen, palesemente false, forse dettate dalla sua invidia per la sua scelta di innamorarsi di Soon-Yi, la figlia adottiva di Mia, di trentacinque anni più giovane. Poi sposata e con la quale conduce un’esistenza finalmente felice.  “Per la prima volta nella mia vita potevo apprezzare le gioie di un vero matrimonio e di una vera relazione d’amore.”, dice. Intanto l’attività cinematografica continua senza sosta. Alla fine di ogni film Woody si chiede se è riuscito a realizzare il sogno che aveva concepito: “La gente mi chiede se ho mai paura di svegliarmi una mattina e di non far più ridere. La risposta è no, perché la comicità non è una cosa che si indossa come una camicia e che si può perdere da un minuto all’altro. E’ molto semplice: o sei capace di far ridere, oppure no”. Woody Allen riassume la sua intensa attività artistica nella scrittura di battute per comici da nightclub, nei film, nelle commedie, nei viaggi in tutto il mondo durante i quali ha incontrato capi di Stato, uomini e donne di talento… Ha avuto grandi soddisfazioni dalla sua attività, perciò se morisse adesso non si lamenterebbe e neppure la gente, immagina.  Dichiara che non fa il regista per soldi o per gli elogi o la fama o i premi, ma per creare e realizzare le sue idee. E’ consapevole tuttavia di essere giunto alla “metà della sua vita” e come scrive nella sua biografia Act One, il grande Moss Art, di dover fare i conti non con il primo atto della sceneggiatura ma con il problema dell’ultimo, ben più difficile e complicato per ogni regista. Gli sovvengono con piacere le tante avventure romantiche e le donne meravigliose di cui è stato innamorato. Non prova nessun rimpianto ma rivendica di aver ricercato la verità nella bellezza e questa nella verità. Non ha suggerimenti per chi studia cinema. Lui da misantropo ha sempre prediletto lo scrivere al girare. E’ irrilevante quello che succederà ai suoi lavori, basta che sia riconosciuto il suo senso dell’umorismo nell’imbastire commedie e storie assurde e magiche, eppure reali, per rappresentare la sua vita piena di tanti stupidi errori compensati dalla fortuna. E dopo una fugace catalogo degli straordinari attori e delle bellissime attrici che ha diretto, il pensiero corre a Bud Powell con il quale scambierebbe volentieri il suo talento e subito dopo a Fred Astaire. Woody Allen non ha successi o meriti da incorniciare, ma riflette ancora una volta l’umiltà e la modestia di un uomo, che è artista, commediografo e cabarettista. Per lui è sufficiente immaginare un mondo dove sia possibile sostituire il riso spontaneo e semplice, mordace, all’assurdità  di una vita in folle competizione del nulla e di accuse odiose, veleggiando sul mare del sarcasmo e della battuta pronta, frizzante e leggera come i suoi monologhi, strampalati e pieni di amore. La Nave di Teseo editore, Milano, aprile 2020, pp. 398, € 22,00.

San Giuliano Milanese, 17/08/2020

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