Gentile Sergio Romano,
a proposito dell’articolo di Dino Messina “Cavour, Tolstoj, Un nome che sa di storia” pubblicato sul Corriere della Sera di sabato 1 marzo, spiace constatare come anche ai più seri e preparati giornalisti sfugga, a proposito della Crimea, la tragedia della nostra comunità di italiani, per lo più Pugliesi, trasferitasi nell’800 in quella penisola che attende tutt’ora il riconoscimento dello status di deportati e il ripristino della cittadinanza italiana. Lei conosce bene la vicenda, che è stata ricordata nel 2012 al Festival della Storia di Gorizia con la presentazione del libro, che io stesso le ho donato, dal titolo “Gli Italiani di Crimea, Nuove testimonianze sulla deportazione e lo sterminio” a cura del prof. Giulio Vignoli. Quest’anno, il 29 gennaio, è ricorso il 72° anniversario della deportazione. L’Associazione Regionale Pugliesi e l’Amministrazione Provinciale hanno ricordato ogni anno con una cerimonia questa tragedia, che finora non è stata riconosciuta come tale e che perciò continua a privare del riconoscimento dello status di deportati gli Italiani di Crimea sopravvissuti e i loro discendenti, al contrario di quanto è avvenuto per gli altri popoli che hanno subito la stessa sorte (tedeschi, armeni, bulgari, greci e tatari).I pescatori pugliesi frequentavano quelle coste per la pesca allo storione. Tolta la Crimea all’Impero Turco dallo zar Alessandro I, i primi invitati a ripopolarla furono i pescatori a cui si aggiunsero i contadini del sud e di altre regioni italiane, allettati dalle proposte russe e dalla disponibilità di buona terra da coltivare. La comunità italiana era arrivata a contare 5.000 abitanti, si era organizzata con una propria scuola, aveva edificato una chiesa e si era inserita agevolmente nella società e nella economia, rivestendo ruoli sempre più importanti. Subì poi come tanti, negli anni 1937 e 1938 le purghe staliniane, pagando con le prigioni e le esecuzioni sommarie la diversità della sua origine. Fino alla tragedia finale, subita fra il 29 e il 30 gennaio del 1942 con la deportazione in Kazakhstan e in Siberia. Nel giro di poche ore gli Italiani di Crimea furono dapprima imbarcati sulle navi e poi ammassati sui vagoni piombati. Esposti al freddo, alla fame e al tifo petecchiale, molti perirono durante il viaggio di deportazione, altri li seguirono nei luoghi di detenzione, nei campi di lavoro e nei gulag. I pochissimi sopravvissuti poterono ritornare a Kerch solo dopo la morte di Stalin, nel 1956, e ricostituirono la comunità, una larvata copia di quella florida di un tempo, a cui era stato tolto tutto, anche la terra del cimitero dove erano sepolti i loro cari. La diaspora è stata accentuata dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica, perché ai deportati nelle varie repubbliche non è stato consentito di riunificarsi dal momento che la loro deportazione non è stata mai riconosciuta. Da anni la nostra comunità, ridotta a poco più di 300 persone e riunita a Kerch nell’Associazione ‘CERKIO’ sotto la guida dell’instancabile Presidente Giulia Giacchetti, mantiene vivi lo spirito e la cultura italiana con lezioni di lingua e con l’aiuto di alcuni Enti e Associazioni (la Società Dante Alighieri, i Lions, ecc.), che erogano borse di studio a favore di alcuni giovani per consentire loro di frequentare corsi di lingua in Italia. Le Istituzioni non hanno ancora risposto alle attese dei nostri connazionali, se si eccettua il Comune di Bisceglie che due anni fa ha invitato una loro delegazione durante la festa estiva del ritorno degli emigranti. Al contrario la comunità degli Italiani di Crimea è desiderosa di ristabilire i contatti con l’Italia, comune Patria di origine, mai dimenticata! E’ troppo chiedere la verità storica e il sostegno morale e fattivo a dei giornalisti seri di una testata gloriosa della stampa italiana? Grazie!
Cordiali saluti
Dott. Paolo Rausa, Associazione Regionale Pugliesi di Milano